Palazzo Ajutamicristo

In pieno centro storico di Palermo, nel cuore palpitante del quartiere arabo della “Kalsa”, a pochi passi dai più significativi monumenti della città ed ottimamente collegato attraverso tutti i mezzi di trasporto – in un palazzo nobiliare di enorme importanza storico-artistico, con due grandiosi cortili intimi e segreti ricchi di palme esotiche, oleandri , banani e profumi siciliani in cui coesistono in mirabile sintesi, influssi catalani, elementi tosco-lombardi e forme autoctone – si erge in tutto il suo splendore Palazzo Ajutamicristo, dimora simbolo di storia e cultura.

Palazzo Ajutamicristo, fu voluto da Guglielmo Ajutamicristo, un abile e ricco mercante di origini pisane trapiantato in Sicilia, il più potente uomo d’affari di Palermo, detentore del banco di fiducia di Re Ferdinando il cattolico per ogni operazione finanziaria che riguardava il regno di Sicilia e l’Italia.

Attorno al 1490 l’ambizioso banchiere volle “pietrificare” le sue notevoli fortune facendo edificare una sontuosa “Domus Magna” che doveva superare in magnificenza ed eleganza ogni altro palazzo della città e doveva inoltre sottolineare il prestigio, il potere economico e il ruolo sociale del suo committente. Per la realizzazione del suo grandioso progetto si rivolse ad uno degli architetti più dotati dell’epoca, il netino Matteo Carnalivari, già famoso per avere operato in diverse città del Regno.

Il grande architetto lavorò a palazzo Ajutamicristo per tre anni, cercando di portare a debito compimento le grandiosi premesse della sontuosa dimora che doveva risultare di grandi dimensioni e dignità architettonica. La finezza delle architetture che il Carnalivari realizzò in questo palazzo, ma anche nel palazzo Abatellis, sarebbero stati destinati a restare nella storia dell’architettura siciliana del ‘400, come originali opere di transizione. Infatti, l’architetto proprio in questi due palazzi ridisegna e rielabora le forme Gotico-Catalane integrandole con un nuovo concetto di spazialità, tipicamente rinascimentale, vera novità nel linguaggio architettonico dell’epoca a Palermo. L’edificio era stato progettato con un nucleo centrale merlato alla ghibellina, e due corpi laterali, l’aspetto generale era decisamente medievaleggiante caratterizzato dall’uso della viva pietra, dagli archi ribassati con ghiere aggettanti e archi ogivali.

Nella facciata si aprivano tre ordini di affacci di diversa forma arrivati a noi completamente trasformati, nel piano nobile vi erano delle splendide monofore, poi sostituite da balconi sostenuti da robusti mensoloni in pietra di gusto barocco, di cui tuttavia rimane traccia evidente, anche delle originarie finestre del terzo piano, solamente una ci è giunta nella versione originaria.

Il portale in pietra intagliata, con grande arco ribassato dalle vibranti modanature, è certamente l’elemento più conosciuto della facciata, progettato dal Grisafi quando Carnalivari aveva lasciato la città.  E’ sormontato al centro da un rombo con i simboli araldici degli Ajutamicristo.

Ma la parte di maggior pregio, la più integra e meno degradata della superstite costruzione, va ricercata nel portico interno a doppio loggiato sovrapposto, presente nel secondo cortile, dove troviamo al primo ordine archi ribassati e ghiere aggettanti poggiati su piedritti, mentre al secondo, archi ogivali con pronunciate modanature concentriche che poggiano su colonnine di marmo recanti nei capitelli le armi di Guglielmo Ajutamicristo. Vi si accede da un andito dove a destra troviamo lo scalone seicentesco che costituisce l’accesso al piano nobile, e a sinistra un’edicola con simulacro marmoreo della Vergine.

Nella seconda metà del XVIII secolo, don Giovanni Aloisio Moncada, nono Principe di Paternò, diede incarico all’architetto Venanzio Marvuglia per una totale riconfigurazione dell’edificio, annettendo un nuovo corpo di fabbrica per la realizzazione di un grande salone da ballo. La decorazione degli interni fu affidata ai pittori Benedetto Cotardi e Giuseppe Crestadoro (allievo di Vito D’Anna) che affrescò il soffitto del grande salone d’onore, (realizzato da Andrea Gigante) con una pomposa allegoria raffigurante “la gloria del Principe virtuoso”. In quegli stessi anni don Aloisio ampliò lo splendido giardino che si trovava dietro il palazzo, una meravigliosa villa di delizie conosciuta come “la flora di Caltanissetta” (i Moncada erano anche Conti di Caltanissetta) che fatto eccezionale, in alcune ore della giornata, veniva aperto al pubblico perché potesse goderne. Alla fine del secolo XIX una parte del palazzo è stato venduto dai Moncada ai Calefati baroni di Canalotti, e l’altra alla famiglia Tasca, i quali fecero realizzare all’interno un ciclo di decorazioni in stile pompeiano.

I Tasca negli anni Ottanta del secolo scorso cedettero la loro parte alla Regione Siciliana, mentre a tutt’oggi i Calefati continuano a risiedere nella loro proprietà, che ha conservato la bellezza di un tempo nelle interne decorazioni, negli arredamenti d’epoca e nei pavimenti a scene figurate che questa nobile famiglia conserva con grande cura.

Questa casa, per secoli considerata la più bella della città, nella sua secolare esistenza, ha ospitato illustri ospiti tra i quali la Regina Giovanna di Napoli, il Re di Tunisi Muley Hassan, l’Imperatore Carlo V e don Juan d’Austria, vincitore di Lepanto (battaglia a cui partecipò Marcantonio Calefati Capitano di Galea, antenato degli attuali proprietari). L’ala di proprietà della Regione attualmente destinata a spazio museale diventerà presto sede della sovrintendenza ai beni culturali.